GIUSEPPE GALZERANO, ANDREA SALSEDO. VITA, GALERA E MORTE DELL’EDITORE ANARCHICO “SUICIDATO” DALLA POLIZIA AMERICANA, CASALVELINO SCALO, GALZERANO EDITORE, 2020
Siamo negli Stati Uniti, nei primissimi anni Venti, in un paese da poco uscito dalla guerra e nel quale si sommano e si sovrappongono le grandi contraddizioni sociali e politiche causate dalla crisi economica e dai rivolgimenti internazionali. In questi anni negli Stati Uniti vive una folta e quanto mai combattiva comunità di anarchici italoamericani, in parte conseguenza degli imponenti fenomeni migratori che avevano interessato quel paese a cavallo del secolo, in parte giunta nel “paese della libertà” alla ricerca di condizioni di vita migliori.
Se la comunità anarchica di lingua italiana, rimasta nella madre patria e poi dispersa nei paesi europei a causa della repressione fascista, aveva mantenuto una sostanziale continuità con quell’anarchismo sociale che aveva trovato la sua compiutezza nelle fondazione dell’Unione Anarchia Italiana e nelle pagine di Umanità Nova, la comunità italoamericana si contraddistingue per l’adesione quasi di massa ai principi e alle pratiche della propaganda del fatto, diffusa, sostenuta e apertamente teorizzata nelle pagine dei più importanti periodici anarchici di lingua italiana pubblicati in America, dalla Questione Sociale di Paterson (1895-1908), alla Cronaca Sovversiva di Barre nel Vermont e poi Lynn ( 1903-1919). Come ispiratore di questa impostazione pratica e teorica, primeggiava fra tutte la figura di Luigi Galleani, il formidabile militante e propagandista, dalla parola non solo incendiaria ma anche estremamente seducente, che affermava una strategia dell’anarchismo, quanto mai determinata ed effervescente nei suoi effetti “esplodenti”.
Naturalmente per comprendere le diffuse azioni illegaliste se non decisamente terroristiche di buona parte degli anarchici italoamericani, bisogna considerare le spesso brutali condizioni materiali, sociali e persino razziali nelle quali si trovavano a vivere e lottare. Componenti marginali e in condizioni di inferiorità nel processo produttivo, esposti a condizioni di vita spesso avvilenti e disagiate, vittime di un razzismo che non distingueva gli emigrati meridionali dai “negri”, questi compagni avevano ben pochi strumenti per dare concretezza ai loro propositi di emancipazione economica e sociale. Quindi, come detto, aveva buon gioco quel tipo di propaganda che sostanzialmente vedeva nella sola violenza la risposta alla violenza della società del “bianco” benestante.
Testimonianza di questo clima, la pubblicazione del famosissimo opuscolo clandestino La Salute è in voi, un vero e proprio manuale quanto mai particolareggiato per la produzione di esplosivi, inoltre la stampa dei volantini, anch’essi naturalmente clandestini, Plain Words – Parole Chiare, firmati The anarchist fighters e lasciati immancabilmente sui luoghi dei più o meno piccoli ma molto frequenti atti terroristici. Come si può immaginare, anche le risposte delle autorità e dello Stato, già spaventate dal trionfo della rivoluzione bolscevica in Russia, non si facevano attendere e infatti fu progressivamente orchestrata e messa in atto una forsennata campagna repressiva, coordinata e promossa particolarmente da Mitchell Palmer, candidato alla presidenza degli Stati Uniti, che avrebbe portato, tra l’altro, alla forzata deportazione nei paesi di origine di moltissimi sovversivi. Fra i tanti involontari protagonisti dei cosiddetti Palmer Raids, Emma Goldman e Alexander Berkman, rispediti nella Russia bolscevica e lo stesso Galleani, deportato in Italia sul finire del 1919.
Di questa comunità tanto emarginata e sfruttata quanto determinata al riscatto faceva parte anche l’anarchico Andrea Salsedo, originario di Pantelleria ed emigrato negli States nel 1906. Avendo conosciuto nella sua isola la numerosa comunità degli anarchici mandati al domicilio coatto, si era progressivamente avvicinato alle teorie libertarie così che, giunto in America, si inserì organicamente nel movimento newyorkese, riprendendo i contatti con Galleani, già frequentato quando questi era ospite involontario a Pantelleria. Dopo aver aperto una tipografia assieme al socio calabrese Roberto Elia si dedica, con passione, alla stampa di materiale anarchico di informazione e propaganda. Nel 1917 sarà l’editore del primo volume delle Memorie Autobiografiche di Clemente Duval, illegalista ed espropriatore francese condannato alla deportazione nella Guyana francese e da qui evaso nel 1901 per raggiungere New York mentre, fra il 1919 e il 1920, dopo la soppressione della Cronaca, darà vita ai due periodici, il Domani e L’Ordine.
Naturalmente questa intensa attività pubblicistica ed editoriale non poteva sfuggire alle autorità e fu così che, anche grazie alla delazione dell’infiltrato Eugenio Ravarini, l’8 marzo del 1920, assieme al socio Elia, viene arrestato e condotto nei locali della polizia, al Park Row Building, dove sarà trattenuto illegalmente per ben due mesi. Sottoposto giorno e notte a continui interrogatori, certamente non amichevoli, a vessazioni, minacce, ricatti e torture, per fargli confessare di essere il responsabile della stampa dei volantini Plain Words che avevano accompagnato i numerosi pacchi bomba spediti poco prima, concluderà la sua esistenza precipitando, il 3 maggio, dal quattordicesimo piano dell’edificio.
Naturalmente, in seguito alle esplicite accuse di omicidio, formulate anche nelle pagine della stampa democratica americana, la polizia dichiarò che si trattava di un suicidio motivato dal senso di colpa per una presunta collaborazione. Nulla però poteva dare credito a questa versione anche perché Salsedo, secondo la testimonianza di Roberto Elia che ne condivideva la cella, era ormai rassegnato alla detenzione e di conseguenza non aveva alcun motivo per porre fine alla propria vita. Naturalmente anche i compagni di lotta e di ideale vollero smontare quella tesi infamante e si mossero immediatamente per sostenere quella che erano sicuri fosse la verità: Salsedo non si era buttato, era stato buttato, dopo essere stato brutalmente percosso fino alla morte.
In particolare Luigi Galleani dalle pagine della risorta versione italiana della Cronaca Sovversiva non si stancava di ricordarne e onorarne la memoria, mentre fra i più attivi in questo impegno di controinformazione troviamo altri due anarchici italoamericani, direi piuttosto noti, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, impegnati fin dal giorno successivo al “suicidio” a lanciare una campagna di solidarietà e denuncia. Come è facile immaginare, anche questo impegno, tanto intenso quanto pericoloso per le trame del potere, sarebbe stata una della cause della loro incriminazione e del successivo progetto omicida della magistratura e delle autorità americane. Salsedo “suicidato”, Sacco e Vanzetti immolati sulla sedia elettrica.
Molto probabilmente i poliziotti e i carabinieri che erano nei locali della questura milanese la notte del 14 dicembre 1969 non sapevano nulla di questa storia ma forse la Morte accidentale di un anarchico, fosse l’anarchico Andrea Salsedo o l’anarchico Giuseppe Pinelli, sembrava rientrare nella loro forma mentis. È questa la storia tragica, ma anche fin troppo esemplare nelle sue dinamiche, che Giuseppe Galzerano ricostruisce nei minimi particolari, con l’abituale abbondanza di documentazione e con l’altrettanto abituale partecipazione solidale. Nulla sfugge all’autore e infatti, alla sorte di Salsedo, accosta opportunamente la storia di un altro episodio di brutalità poliziesca, quello riguardante l’anarchico jesino Romeo Rezzi, torturato fino alla morte nella questura romana di fine Ottocento nel tentativo di fargli confessare una inesistente complicità con l’attentato Acciarito. Da segnalare, per finire, la ricca e preziosa raccolta fotografica che, come sempre, rende ancora più interessante e fruibile questo prezioso volume.
Massimo Ortalli